Alberto Mattioli, già Consigliere Comunale di Milano con la Democrazia Cristiana e Vicepresidente della Provincia di Milano, approda all’UDC di Casini dopo una breve militanza nell’API di Rutelli. Da prossimo Presidente de “La Rosa per l’Italia”, il movimento fondato da Savino Pezzotta, Mattioli spiega a FusiOrari il senso del suo percorso e l’intento – in linea con le richieste del nuovo partito – di occuparsi di economia e rapporti con il mondo cattolico.
Lo scorso 17 gennaio il sito lombardo dell’UDC ha annunciato il suo ingresso nel partito di Casini. Quali sono le motivazioni che l’hanno spinta a questa decisione?
Guardando al contesto politico attuale che ci viene proposto, vedo da un lato una destra, che definisco populista-plebiscitaria, totalmente dedita alla causa di un capo e, dall’altra parte, una sinistra indefinita e conflittuale. In questo contesto la presenza di un centro moderato è necessaria. Bisogna costruire un’alternativa credibile di governo, un punto di equilibrio in mezzo a questo sistema bipolare, muscolare e ottuso. Una considerazione di carattere politico, alla quale bisogna aggiungerne un’altra, per me ancora più significativa: oggi la crisi politica è soprattutto e primariamente di carattere culturale. Manca la chiarezza delle culture politiche che devono istruire l’azione dei partiti. Occorre fare chiarezza culturale. Ritengo che sia necessaria nel nostro Paese una forza moderata di centro, ma soprattutto dove l’ispirazione cristiana, che muove l’azione politica, sia visibile e chiara agli occhi degli elettori. È proprio questa l’altra motivazione che mi ha spinto a dare l’adesione all’UDC, con cui avevo già iniziato un percorso da un anno a questa parte. È stata una lunga riflessione, ponderata. Credo che l’UDC, strumento certamente perfettibile, oggi rappresenti una proposta politica chiara agli occhi degli elettori, sulla quale si può tentare di investire per costruire quel centro, più largo e moderato, che abbia più peso e che sia determinante ai fini di nuovi equilibri politici nazionali.
Come pensa sia stato letto dai suoi elettori il suo passaggio dal PD all’API, e poi all’UDC?
Il mio percorso è durato un anno e mezzo. Ho lasciato il Partito Democratico dopo una seria riflessione e ho deciso di non ricandidarmi. Con la mia uscita dal Partito ho inteso essere leale nei confronti dello stesso Partito Democratico: ad un certo punto ho ritenuto fosse deleterio continuare manifestare quotidianamente dissenso. Fa male a chi lo manifesta, ma fa male anche al partito di cui sei parte. Un percorso, quindi, che reputo molto trasparente: mi sono assunto le mie responsabilità e ho trascorso parecchio tempo per spiegare questi cambiamenti. Cambiamenti peraltro in parte, perché se c’è un valico che non ho mai pensato di oltrepassare è quello ovviamente del centrodestra. Rimango in un’area politica di dissenso rispetto all’attuale governo, ma che parte dal presupposto che occorre una limpida proposta culturale e politica per poi stringere alleanze programmatiche. Quelle sono necessarie, certo, ma si comincia facendo luce sulle proprie posizioni.
L’UDC si unisce a FLI, API e ai Liberal-Democratici per costruire il nuovo polo anche in Lombardia. Quali, a suo avviso, devono essere le priorità di questa coalizione politica per quel che riguarda Milano?
Adesso abbiamo questo importante appuntamento amministrativo, in cui la Moratti non gode di positivo consenso da parte dei cittadini milanesi. La gente è abbastanza delusa da questa amministrazione. Dall’altra parte sappiamo che la seppur rispettabile candidatura di Giuliano Pisapia, che io stesso stimo, per questioni di espressione di cultura politica non è sufficiente per competere con il sindaco uscente. In questo contesto il terzo polo con un suo candidato può essere determinante. Rende più contendibile la partita e offre un’opportunità politica anche di rilevanza nazionale. Tra le priorità che io indico per la nostra città c’è innanzitutto l’assetto istituzionale. Da anni noi discutiamo se occorra o meno, per Milano, la costituzione della città metropolitana. A mio avviso, città metropolitana lo è già nei fatti. Due livelli di governo – comune e provincia – sono inadeguati e creano soltanto confusione nell’organizzazione di un’area così vasta. La città metropolitana è uno strumento che ha mostrato di funzionare in molte grandi aree europee.
Altre questioni oltre all’assetto istituzionale?
La riorganizzazione della macchina comunale. L’eccessivo ricorso ai consulenti esterni ha depresso la qualità della dirigenza milanese. Credo che un Comune come Milano debba avere una dirigenza di qualità; oggi è mortificata dalla intensa presenza di consulenti esterni che costano una cifra non indifferente ai cittadini milanesi. C’è poi la questione del traffico. Il governo del fenomeno del traffico deve necessariamente partire da fuori: ecco che ritorna il tema della città metropolitana. Occorre sì scoraggiare il trasporto privato, ma si deve potenziare significativamente la rete del trasporto pubblico. Altre cure non ce ne sono. In questo contesto il Piano di Governo del Territorio recentemente approvato, contiene degli strumenti positivi, però è nel complesso miope. Guarda all’attuale perimetro della città, non ha una visione più grande. Invece credo che dobbiamo ragionare nell’ottica della “grande Milano”, come si parlava anni fa sui titoli dei giornali. Poi, che questo Piano risenta anche di un’eccessiva percentuale di cementificazione, specie se calcolata su un perimetro ristretto. Vedrei uno sviluppo urbanistico più largo e più esteso, non concentrato nell’attuale Città. Centrale è anche il tema della sicurezza e della lotta preventiva alle infiltrazioni mafiose. E’ noto che Milano e il suo hinterland, in ragione della ricchezza crescente e del “fenomeno” EXPO, necessitino di una lotta intelligente e preventiva alle mire criminali, che si ingegnano per mettere le mani su lauti appalti. Un lavoro delicato da portare avanti insieme alle autorità giudiziarie.
In questi anni la sua attività politica si è espressa a Milano e in Lombardia. Può escludere che l’approdo all’UDC, e quindi al terzo polo, siano il preludio a un suo impegno a un livello istituzionale nazionale?
La ringrazio per la considerazione, ma per quelli che saranno gli impegni nazionali, quando e come vi saranno le scadenze, sarà il partito a valutare le scelte opportune. Io offro il mio contributo di pensiero, esperienza e radicamento per quanto posso avendo ripreso la mia attività professionale da cui è sempre derivato il mio sostentamento, la mia autonomia e libertà.
Da “FusiOrari Magazine”, Mercoledì 09 Febbraio 2011 – di Daniele Nicoli
Mattioli mi sembra un ottimo acquisto: i contenuti di questa intervista ed il suo breve intervento alla riunione di coordinamento di sabato scorso sono del tutto condivisibili.
Mi auguro che si candidi per il Consiglio Comunale e, se ciò fosse, mi rendo disponibile, se lo ritiene opportuno, a sostenerlo ed aiutarlo nella campagna soprattutto in quella fascia di elettorato cattolico e liberale, bempensante, progeressista ma moderato che nelle ultime elezioni ha votato PD ma che si sente a disagio nel dare il voto a Pisapia.
Inoltre apprezzo molto l’accenno al recupero della “macchina del comune”, nella valorizzazione, gratificazione e motivazione delle grandissime competenze esistenti mortificate da anni di consulenze esterne.